TL;DR chi volesse saltare il pippotto introduttivo con mie considerazioni sul perché un viaggio in Senegal, può schizzare direttamente all’itinerario cliccando qui.
Pensando all’Africa Nera la prima meta che viene in mente non è sicuramente il Senegal. Perché ci sono tanti altri paesi che, quantomeno nell’immaginario collettivo, ne incarnano molto meglio l’idea. E perché, bisogna dirlo, il Senegal non è noto per qualcosa di così grandioso come ad esempio succede alla Tanzania col parco del Serengeti, al Madagascar coi suoi baobab mastodontici o alla Namibia col suo incantevole deserto. E questo per fare solo alcuni esempi. Il Senegal, invece, per cosa è universalmente riconosciuto? Per la Parigi-Dakar, che manco più si fa qui ma si è trasferita dall’altra parte del mondo; (forse) per il Lago Rosa che poi non é nemmeno più tanto rosa; per Youssou N’Dour, ma solo per chi nel 1994 era adolescente e canticchiava 7 Seconds (tra l’altro l’unico pezzo canticchiabile è quello in inglese non cantato da lui, ma questo è un dettaglio). Basta poi fare una veloce ricerca su Google Immagini utilizzando la chiave di ricerca “Senegal” per aver conferma che forse bho… è meglio scegliere un’altra meta dato che non sembrano esserci attrazioni così degne di nota. In sostanza perché andarci, quindi? Per un po’ di tempo dopo essere rientrata dal mio viaggio in terra senegalese, avrei cercato di persuadere gli ignari turisti volenterosi di visitare questo paese a dirigersi altrove. Perché per me è stato un viaggio impegnativo -fisicamente ma soprattutto mentalmente- e ho dovuto far decantare per un bel po’ tutte le emozioni prima di capire che, in fin dei conti, è un paese che ho amato anche se non è stato proprio un colpo di fulmine (in questo articolo racconto in maniera più approfondita il dietro le quinte ed elenco le 10 cose che più ho apprezzato).
Passando a questioni più pratiche, nelle righe che seguono vi espongo il mio itinerario on the road in Senegal di due settimane, che potete utilizzare come spunto per realizzare il vostro. Sotto all’itinerario alcune considerazioni su cosa farei e non farei più col senno di poi. Ci tengo a ribadire che si tratta di un itinerario fai da te che solo in minima parte è stato studiato a tavolino prima di partire, ma che principalmente è stato frutto dell’ispirazione del momento (e della possibilità di realizzarla).
Giorno 1: Italia > Dakar
Il primo giorno lo passiamo in viaggio, partendo verso l’ora di pranzo da Milano e facendo scalo a Tunisi. Voliamo Tunisair, che non è proprio la miglior compagnia aerea al mondo, ma almeno ci recapita a destinazione (i nostri bagagli, invece, arrivano dopo un giorno).
Abbiamo scelto un alloggio in una posizione che ci sembrava piuttosto strategica e che si è rivelata tale, consapevoli del fatto che per spostarsi in una città come Dakar avremmo dovuto ricorrere al taxi.
NB a partire da inizio dicembre 2017 Dakar ha un nuovo aeroporto, l’Aéroport International Blaise Diagne, che dista un’ora abbondante di macchina dalla città. Quello vecchio, ancora vivo e vegeto nel momento in cui abbiamo prenotato il volo, era molto più comodo e questo cambio che ci è stato notificato non molto prima della partenza, ci ha costretto a rivedere un po’ l’itinerario che avevamo pensato: la visita di Dakar l’abbiamo esaurita nei primi giorni, senza più ripassarci e ripartire alla volta dell’Italia direttamente da Mbour sulla Petite Côte, più comoda per raggiungere l’aeroporto. Quando son transitata io con le mie amiche dall’aeroporto Blaise Diagne era stato inaugurato da poco ed era tutto ancora un work in progress (leggi: un gran casino). Vi dico solo che il check-in ce lo hanno fatto a mano, cercando i nostri nomi in un elenco di carta… Mi auguro che nel frattempo si siano organizzati un po’ meglio e che la vostra esperienza possa essere meno complicata della mia 🙂
Giorno 2: Dakar > Ngor > Lago Retba > Dakar
La mattina ci facciamo portare da un taxi fino al discusso e discutibile Monumento al Rinascimento africano, che è un po’ il simbolo della città. Inaugurato nell’aprile del 2010, è costato uno sproposito e ha richiamato critiche da chicchessia. La colossale statua (stiamo parlando di una cinquantina di metri d’altezza!) rappresenta una famiglia africana, anche se ci vuole un bel po’ di fantasia per capirlo… Questo è più che altro realismo sovietico!
Da qui proseguiamo a piedi lungo la corniche. Quasi subito incontriamo les Mamelles, due collinette vulcaniche dalla forma inequivocabile, in una delle quali c’è un faro, e poi, dopo un’oretta di cammino a passo rilassato, raggiungiamo la Pointe des Almadies, il punto più a ovest di tutta l’Africa continentale. Siamo nella penisola di Capo Verde, ossia una striscia di terra che dal centro di Dakar si allunga nell’oceano. Qui ci sono un sacco di localini in riva al mare in stile occidentale, alberghi e residenze di gente che soldi ne ha parecchi. Tutto sommato però non è nulla di speciale ma, a quanto pare, chi vuol far turismo di lusso a Dakar viene qui. Sempre nella penisola di Capo Verde, ma nella parte più a nord, si trova Ngor, un villaggio di pescatori in riva al mare sporco, incasinato ma affascinante a modo suo (ne vedremo tanti di posti così nei giorni successivi). Ci concediamo un pranzo a base di pesce in un locale sulla spiaggia -è il giorno di Natale!- ma non replicheremo più durante la vacanza perché i tempi di preparazione dei pasti son davvero biblici.
Dopo pranzo prendiamo un taxi per il lago Retba, più conosciuto come lago Rosa per via del colore delle sue acque, a un’oretta di strada in direzione nord. Il lago è famoso perché, prima che cambiasse continente, era l’arrivo del famoso rally Parigi-Dakar. Acque color rosa, dicevamo: questo è dovuto all’alga Dunaliella salina che produce un pigmento rosso colorando così tutto di rosa. Non vi aspettate però di vedere un lago color rosa shocking o di avere un colpo d’occhio pazzesco una volta arrivati: per riuscire a rendersi conto della colorazione delle acque bisogna prendere una piroga (contrattate il prezzo allo sfinimento, perché i caronte di turno chiedono delle cifre assurde!) e farsi portare nel mezzo del lago, perché dalla riva sembra un lago “normale”. E poi bisogna avere anche un po’ di fortuna e beccare delle condizioni favorevoli (meglio durante la stagione secca e al tramonto). Altra particolarità del Retba è il suo altissimo tasso di salinità, circa 10 volte maggiore a quello del mare. Qui, come sul Mar Morto, non c’è il rischio di andare a fondo perché la presenza di tutto questo sale permette di rimanere a galla ai pochi che si azzardano a fare il bagno.
Giorno 3: Dakar > Isola di Gorée > Dakar
In taxi raggiungiamo l’imbarcadero per l’isola di Gorée dove approdiamo dopo una ventina di minuti di nave. L’isola è una piccola oasi di pace, un mondo a parte rispetto a Dakar: qui la frenesia e il casino della città son lontani anni luce. Non circolano macchine, le case son colorate con tinte accese e decorate dalla bouganville, l’aria è respirabile, a differenza di Dakar. Un posto in cui si trascorre volentieri mezza giornata o anche una giornata intera. Nel 1978 Gorée viene inclusa tra i siti Patrimonio Mondiale dell’Umanità dell’UNESCO per essere un simbolo della tratta negriera (anche se il suo ruolo è stato minore rispetto a quello di altri paesi dell’Africa occidentale). L’attrazione principale dell’isola è infatti la Maison des Esclaves, un edificio coloniale dove venivano “parcheggiati” gli schiavi prima di essere imbarcati e non far più ritorno. Esiste una versione della storia un po’ diversa, che individua la Maison des Escaves più che altro come magazzino per le merci. In qualsiasi caso, un luogo di memoria e meditazione sulla follia umana.
Nel pomeriggio torniamo a Dakar e facciamo un salto al mercato Sandaga dove però è impossibile girare indisturbate: oltre alla troppa gente, veniamo prese d’assalto da personaggi fastidiosi e insistenti che non ci lasciano respirare.
Il nostro tour di Dakar finisce con una passeggiata che ci porta ad attraversare l’Avenue Pompidou -gli Champs-Élysées de noantri– fino all’immensa place de l’Indépendance.
Giorno 4: Dakar > Saint Louis
Partiamo la mattina di buon’ora da Dakar alla volta di Saint Louis al nord del paese. Prendiamo un sept-place che ci mette circa 5 ore per coprire una distanza di 250 km e, da quanto capisco in seguito, siamo state fortunate: ho incontrato viaggiatori che ci hanno messo mooolto di più (il tempo di percorrenza incerto è una variabile da tenere sempre presente quando ci si sposta in Senegal).
Apro un attimo una parentesi sui sept-place, trattandosi del mezzo di trasporto che rappresenta in fin dei conti la soluzione migliore e più “comoda” per chi viaggia in autonomia (il concetto di comodità è ovviamente molto relativo): si tratta di taxi collettivi che partono quando sono pieni, ossia al raggiungimento dei 7 posti disponibili per i passeggeri. Sono delle Peugeot 504 station wagon, nella stragrande maggioranza dei casi conciatissime, che si prendono la mattina sul presto (è difficile trovarne di pomeriggio, soprattutto per alcune tratte) alla stazione dei pullman delle località più grosse e per la strada nei villaggi più piccoli. Il prezzo è moderatamente contrattabile (gli autisti senegalesi non sono molto propensi a scendere coi prezzi) e cercheranno sempre di farvi pagare anche il bagaglio nonché di applicarvi un prezzo da toubab, ossia da forestiero. Ma si sa come funziona in certi paesi.
Ma torniamo a Saint-Louis città che, a detta di molti, è la più bella del paese. Una città che si sviluppa su un’isola lunga e stretta (un po’ come Manhattan!), collegata alla terraferma da due ponti, uno dei quali è il celebre ponte metallico Faidherbe, protetto dall’UNESCO dal 2000. Saint Louis è il luogo in cui i francesi fondarono la prima colonia permanente nel territorio del Senegal ed è proprio per questo che le sue vie polverose sono un susseguirsi di vecchi edifici coloniali, molti dei quali in rovina, che rappresentano proprio il fascino peculiare di Saint-Louis. Ricorda un po’ L’Avana, per chi è stato a Cuba. La città tutto sommato è piccola e si visita in una mezza giornata. Da non tralasciare è l’attraversamento del ponte (cosa piuttosto scontata poiché, se non lo si attraversa, non si può proprio entrare in città) e il vivace quartiere dei pescatori situato sulla langue da Barbarie dirimpettaia all’isola, da dove partono e arrivano le piroghe super colorate di chi va a cercare fortuna in mare. I momenti della partenza e, soprattutto, del rientro dei pescatori sono quelli più movimentati e pittoreschi.
Giorno 5: Saint-Louis > Santuario nazionale degli uccelli di Djoudj > Saint-Louis
Facendo base a Saint-Louis raggiungiamo con un taxi in poco più di un’ora quella che rappresenta la terza riserva ornitologica più grande del mondo, il Santuario nazionale degli uccelli di Djoudj, situato sulla riva sud-orientale del fiume Senegal ai confini con la Mauritania. All’interno del parco, trovano riparo numerose specie di uccelli migratori che qui fanno sosta dopo aver attraversato tutto il deserto del Sahara: Djoudj è il primo luogo con dell’acqua accessibile dopo l’arida immensità del deserto. Delle quasi 400 specie di uccelli che svolazzano nel parco i pellicani sono i più numerosi (in prossimità della piattaforma di riproduzione vi circonderanno letteralmente!). Il parco non si può visitare in autonomia, ma bisogna per forza unirsi a un giro guidato in piroga (a pagamento) senza il quale avrebbe poco senso arrivare fin qui. Il parco è aperto da novembre a giugno, ma il periodo migliore per visitarlo è da dicembre a marzo.
Giorno 6: Saint Louis > Louga
In mattinata, senza troppa fretta, prendiamo un sept-place per raggiungere Louga a un’ora di distanza. La città non è nemmeno citata sulla guida perché sostanzialmente non c’è nulla da vedere, ma noi siamo capitate qui per il Fesfop, il festival del folklore e delle percussioni di cui avevamo sentito parlare da amici prima di partire (qui un piccolo spoiler danzante). Si tratta di una manifestazione di più giorni a cui partecipano artisti da tutto il paese e anche da fuori, dove i turisti si contano sul palmo di una mano. È un evento di dimensioni notevoli e molto popolare anche se praticamente escluso dai circuiti turistici, che però ho trovato un po’ disorganizzato per essere appunto così grosso: nessuno sapeva nulla degli eventi collaterali organizzati nei vari quartieri, gli orari erano super indicativi e le serate son cominciate con oltre un’ora di ritardo rispetto al programma (non ti aspetti precisione svizzera, ma un minimo…). Ammetto di non essere troppo in grado di apprezzare l’arte delle percussioni, ma non so se sinceramente ci tornerei. Tuttavia il contesto è stato simpatico: Louga si è rivelata un’esperienza autentica (interessante il mercato) e dormire al villaggio allestito proprio in occasione del festival è stato divertente.
Giorno 7: Louga > Lompoul-sur-Mer
Con un sept-place raggiungiamo in meno un’ora Kébémer da dove, un fuoristrada dell’eco lodge in cui trascorreremo la notte, ci conduce in altri 30 minuti a Lompoul-sur-Mer, un villaggio sulla Grande-Côte. Qui c’è una bella e lunga spiaggia di sabbia bianca dove abbiamo la fortuna di assistere a un pittoresco rientro dei pescatori dopo la nottata in mare e, poco più nell’interno, c’è un piccolo deserto di sabbia: nulla a confronto col Sahara o il Quarto Vuoto, tuttavia anche qui ci sono un po’ di dune su cui passeggiare e da cui si intravede il mare!
Giorno 8: Lompoul-sur-Mer > Touba > Toubakouta
L’ottavo giorno è un lungo e faticoso giorno di spostamenti, ovviamente in sept-place a cui siamo ormai troppo affezionate. Prima ne prendiamo uno per Touba (2 ore circa) e poi, dopo una breve sosta per visitare la moschea, un altro per Toubakouta (3 ore abbondanti). In origine, non avevamo previsto di fare sosta a Touba ma lo abbiamo fatto nell’ottica di spezzare un lungo e non troppo confortevole viaggio verso sud. Touba, nel Senegal centrale, è la città santa del mouridismo, una confraternita piuttosto potente in Senegal anche a livello politico, ed è il luogo dove è seppellito il suo fondatore, lo sceicco Amadou Bamba. Tutto ruota intorno alla grande moschea, un edificio dalle dimensioni impressionanti con 4 minareti alti 66 metri e un altro, quello centrale, addirittura 87. Per poterla visitare bisogna essere accompagnati -qualcuno all’ingresso vi riconoscerà come toubab e si proporrà di farlo- nonché vestiti in maniera appropriata e le donne devono avere, oltre alla testa coperta, una gonna lunga (i pantaloni non vanno bene). Al momento della mia visita, buona parte della moschea era un cantiere.
In serata raggiungiamo finalmente il tranquillo villaggio di Toubakouta, da dove cominceremo l’esplorazione della regione del Sine-Saloum.
Giorno 9: Toubakouta > Mar Lodj
Da Toubakouta prendiamo una piroga che, addentrandosi tra le mangrovie del delta del fiume Saloum, ci conduce in 4 ore circa sull’isola di Mar Lodj dove ci insediamo per due giorni interi a far nulla o poco più, combinato con un po’ di digital detox, non disponendo di wifi il lodge in cui alloggiamo. In compenso ci sono delle galline starnazzanti che girano indisturbate 🙂
Giorno 10: Mar Lodj
Mar Lodj è un’isola piuttosto estesa che, coi suoi 150 chilometri quadrati, è la più grande all’interno della regione del delta. È un posto estremamente tranquillo, dal paesaggio in buona parte spoglio e seccato dal sale e dove non c’è granché da fare se non rilassarsi su un’amaca e visitare i piccoli villaggi che la compongono, che in totale non arrivano a 6000 abitanti. Qui ci si sposta con carretti trainati da cavalli o asini e la popolazione viene richiamata al raccoglimento tramite il tam tam téléphonique. Nel villaggio principale c’è da visitare una chiesa con la sua Vergine nera di cui gli abitanti vanno molto fieri e un albero sacro dalle dimensioni impressionanti. Toccante è la visita del minuscolo villaggio di Wandié, nascosto tra le mangrovie, dove si arriva esclusivamente in piroga e facendo un tratto di strada in cui si cammina in acqua. Un posto dove il tempo si è davvero fermato.
Giorno 11: Mar Lodj > Palmarin > Djiffer > Palmarin
Lasciamo Mar Lodj ovviamente in piroga alla volta di N’dangane da dove raggiungiamo Palmarin in taxi. Palmarin è una località sul mare all’inizio dell’omonima penisola, una striscia di terra stretta stretta bagnata da un lato dall’oceano e dall’altro dalle acque del delta del Saloum. La guida Routard la decanta tanto, ma noi non la troviamo granché (mai fidarsi dei francesi): non c’è molto da fare nemmeno qui, gli alloggi sono piuttosto scadenti (noi dormiamo in un lodge sulla spiaggia dove l’acqua corrente è un optional e tocca lavarci buttandoci dell’acqua addosso presa da alcune taniche) e il mare sporco. Raggiungiamo in taxi il villaggio di Djiffer nella punta sud della penisola per assistere all’ennesimo arrivo dei pescatori col bottino del mare. Rispetto ad altri posti, qui tutto è fortemente amplificato: le piroghe sono tantissime così come la gente in arrivo dal mare e in attesa dei pescatori. Sulla spiaggia ci sono montagne di lumaconi di mare giganti che sembrano delle vagine (giuro! Fanno anche un po’ impressione) e l’odore del pesce messo ad essiccare e soprattutto degli scarti tra cui le conchiglie vuote dei lumaconi è fortissimo e nemmeno tanto gradevole. Il contesto è sicuramente interessante, peccato però che qui la gente non sia molto cordiale, la teranga (proverbiale ospitalità senegalese) sembra essere un optional.
Giorno 12: Palmarin > Joal Fadiouth
In taxi raggiungiamo in una quarantina di minuti Joal Fadiouth, una delle principali località turistiche di tutto il Senegal. Joal Fadiouth è un paese diviso in due: Joal, la parte sulla terraferma e Fadiouth, l’isola fatta interamente di conchiglie collegata alla terraferma da un elegante ponte in legno, che rappresenta il fiore all’occhiello di tutta la Petite Côte nonché uno dei posti più interessanti del paese. Non è possibile accedere all’isola in autonomia (se non di sera), ma bisogna appoggiarsi al syndicat d’initiative che mette a disposizione delle guide locali per la visita, in cambio di un corrispettivo in denaro piuttosto contenuto. La visita prevede un breve giro in piroga per raggiungere prima i granai per il miglio (oggi non più utilizzati ma comunque preservati), il cimitero di conchiglie dove sono seppelliti cristiani, musulmani e famiglie miste (una rarità qui in Senegal) e, infine, l’isola. Qui le macchine non possono accedere ed è quindi molto tranquilla. Un’altra particolarità di Fadiouth è che, in netta controtendenza rispetto al resto del paese, è a (schiacciante) maggioranza cattolica e non musulmana.
Joal invece è famoso per essere il villaggio che ha dato i natali a Léopold Sédar Senghor, politico, presidente del Senegal dal 1960 al 1980 e poeta. Un personaggio decisamente sopra le righe sul quale si può imparare qualcosa in più prendendo parte a una visita guidata alla sua casa natale, la Mbind Diogoye, letteralmente la dimora dei leoni. La casa in sé è piuttosto spoglia ma la visita guidata, seppur un po’ lunghetta, è interessante e soprattutto molto divertente: Étienne, il “padrone di casa”, è davvero spassosissimo. Inoltre non chiede soldi, ma è bene lasciare un’offerta.
Giorno 13: Joal Fadiouth > Mbour
Da Joal Fadiouth ci dirigiamo infine verso la nostra ultima tappa, la “mondana” Mbour. Lo facciamo prendendo un autobus, terminando così l’utilizzo dei sept-place, e ci mettiamo un’oretta abbondante. Cerchiamo alloggio non lontano dal mare dove trascorrere le ultime due notti.
Mbour è una città grande e incasinata che però offre una spiaggia niente male che a tratti ricorda quelle dei Caraibi. Alla fine, due giorni qui a rilassarsi qui ci possono stare tutti. La zona vicino al mare è un susseguirsi di resort di lusso (ci hanno chiesto oltre 300€ per una stanza, ma abbiamo gentilmente declinato) dove gli stranieri, principalmente francesi, si parcheggiano per una settimana senza nemmeno mettere il naso fuori per vedere cosa c’è.
Giorno 14: Mbour
Non passiamo due giorni interi in spiaggia ma andiamo a fare un po’ di acquisti al mercato e andiamo inoltre a visitare la Pouponniere, un’associazione in cui sono ospitati bambini piccoli e piccolissimi orfani o con genitori che non si possono occupare di loro. Un’esperienza che è stata un pugno nello stomaco.
Giorno 15: Mbour > Italia
Dopo un’ultima giornata trascorsa tra spiaggia e mercato, prendiamo un taxi per andare in aeroporto e salutiamo così il Senegal. Un paese che ci ha messo molto alla prova ma che, in fin dei conti, ci è piaciuto 🙂
Qualche considerazione a freddo
Come già detto in più di un’occasione, non son stata in grado di apprezzare da subito questo paese, ho dovuto metabolizzare un po’ tutte le tante emozioni che ho provato nel corso delle due settimane che ci ho trascorso. Meglio tardi che mai, comunque 🙂 A prescindere da ciò, è oggettivo il fatto che il Senegal a livello paesaggistico non abbia le bellezze di altri paesi africani: non è qui che si viene per fare un safari e vedere gli elefanti o le giraffe in amore, non è qui che si viene per rimanere a bocca aperta davanti a quei tramonti africani che si vedono nei dépliant turistici e non è qui che si viene a vivere un’esperienza di immersione nell’immensità del deserto. Quindi perché il Senegal? Al di là di essere una meta più comoda da un punto di vista logistico rispetto ad altre (con un volo diretto, 5 ore e passa la paura) un viaggio in Senegal è un viaggio più che altro per entrare a contatto con la gente, visitare villaggi, ascoltare storie e godere della teranga senegalese ossia l’accoglienza, e apertura al prossimo. Ed è tutto molto più toccante se si pensa a come troppo spesso vengono trattati da noi i senegalesi… Le stesse persone che cercando di venderci accendini o libri fuori dai negozi e che noi il più delle volte ignoriamo o ai quali ci rivolgiamo male, nel loro paese fanno di tutto per farti stare bene, nella maniera più disinteressata del mondo. Uno spunto per riflettere. [continua dopo la foto]
Da un punto di vista più pratico, il mio itinerario credo sia piuttosto equilibrato e che permetta di farsi un’idea completa (o quasi) del Senegal. In poche parole: lo rifarei più o meno così.
Ho soltanto qualche dubbio su Louga, ma principalmente perché non son stata molto in grado di apprezzare il festival.
Per quanto riguarda Dakar, ammetto di non averle dedicato più di tanta attenzione, mi sono limitata a vedere il “minimo sindacale” per scappare via al più presto. È una città grande, incasinatissima e super inquinata. Una megalopoli che non ti fa innamorare a prima vista, anzi è molto più probabile che ti faccia l’effetto opposto. Però, come mi è capitato altre volte in città più o meno analoghe, dopo l’odio iniziale ho imparato a conoscerle e apprezzarle (un esempio lampante è stata Nuova Delhi). Son certa che anche Dakar abbia un suo lato nascosto che valga la pena di conoscere.
Inoltre un piccolo rimpianto ce l’ho ed è quello di non aver visitato la Casamance, la regione a sud del paese ai confini con la Guinea-Bissau. Avrei tanto voluto, ma per motivi di tempo e soprattutto logistici non sono riuscita. Avrei potuto sacrificare un giorno sull’isola di Mar Lodj e uno a pancia all’aria sulla spiaggia di Mbour per tentare di dirigermi verso sud, ma l’incognita di non farcela a fare tutto era comunque grande. Per arrivare in Casamance si deve attraversare la Gambia, con le formalità frontaliere del caso da smazzarsi e, una volta là ci sarebbe voluto tempo per spostarsi e visitare i vari luoghi di interesse. Peccato, ma è andata bene lo stesso così: ho avuto modo di godermi la Petite Côte con il giusto ritmo rilassato. E poi visto il bel ricordo che alla fine il Senegal mi ha lasciato… non escludo di non tornarci! 😀
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Altri articoli che ho scritto sul Senegal:
Grazie per il tuo racconto di viaggio! A fine febbraio dovrei andar in senegal. Arrivo a dakar alle 3.20 di notte e vorrei scendere direttamente a djiffer. Ho visto che vi sono taxi privati ma saranno carissimi..puoi consigliarmi come fare per scendere e risalire e il nome di eventuali fermate, bus etc?ho letto che per certe destinazioni le auto ed i bus partono al mattino presto per cui pensavo di andare direttamente nonostante l’orario..
La mia paura è di rimanere a piedi o aspettare per ore.
Grazie mille
Ciao jlenia,
grazie a te per il commento!
Djiffer è parecchio lontana da Dakar, coi mezzi pubblici e il tempo di attesa per prenderli ci metterai un bel po’.
Secondo me ti conviene andare dall’aeroporto direttamente a M’bour che rimane sulla strada per Djiffer e da lì prendere poi un sept-place per scendere (è possibile che tu debba fare qualche cambio).
Io ricordo che esisteva una sorta di autobus pubblico che dall’aeroporto portava a un’autostazione a Dakar (anche noi siamo atterrate in piana notte ma non abbiamo dovuto aspettare nemmeno troppo) e suppongo ci sia qualcosa anche per M’bour (città che è addirittura più vicino all’aeroporto rispetto alla capitale). Purtroppo però non riesco a essere più precisa di così… in Senegal certe cose si scoprono solo sul posto!
Buon viaggio, fammi poi sapere com’è andata!
Silvia