A Višegrad, nella parte serba della Bosnia ad un centinaio di chilometri ad est della capitale Sarajevo, sorge il ponte Mehmed Paša Sokolović, molto più conosciuto come ponte sulla Drina di andrićiana memoria. Un ponte simbolo della ex Jugoslavia, che ha visto passare secoli di storia e di storie, dalla fine del XVI secolo ad oggi.
Correva l’anno 1961 quando lo scrittore jugoslavo Ivo Andrić vinse il premio Nobel per la Letteratura “per la forza epica con cui ha tracciato e rappresentato i destini umani concernenti la storia del suo paese“. Destini umani che si intrecciano nei suoi libri, storie che invogliano a partire alla scoperta di quella che è l’ex Jugoslavia, una terra indurita dalle vicende del passato ma che nasconde tesori ancora poco valorizzati. Come il ponte sulla Drina, appunto (che peraltro è il titolo del suo romanzo d’esordio, nonché più noto al grande pubblico).
Costruito alla fine del XVI secolo per volere del gran visir Mehmed Pascià Sokolović e realizzato dall’architetto Mi’mār Sinān, il ponte non solo fece da sfondo alle vicende corali e private narrate nel romanzo di Andrić, ma testimoniò anche il brutale episodio ricordato come massacro di Višegrad (1992) in cui persero la vita numerosi civili bosniaci.
Sul ponte inteso come costruzione non c’è moltissimo da dire: è composto da undici arcate in muratura, alcune delle quali vennero distrutte durante le due guerre mondiali ma successivamente ricostruite, ed è lungo 179,50 metri. Dal 2007 è stato inserito dall’UNESCO nell’elenco dei siti Patrimonio dell’umanità.
Molto più affascinante è invece scoprirne la sua importanza simbolica dalle righe del romanzo di Andrić in cui il ponte è il vero protagonista della storia, il muto osservatore delle vicende che hanno segnato il paese balcanico per il lunghissimo periodo che va dal 1500 fino alla Prima Guerra Mondiale. Cosa meglio di un ponte può simboleggiare l’unione di ciò che è diviso? La metafora di Andrić calza proprio a pennello in una terra complicata come i Balcani. E mentre la storia va avanti,il ponte resta lì, immutabile, con l’acqua che scorre sotto le sue arcate.
Ma passiamo ad informazioni più pratiche. Raggiungere Višegrad se non si ha un mezzo privato è un po’ complicato. Anche se le distanze non sono immense, il viaggio è lungo e non troppo confortevole; gli orari dei bus da Belgrado o da Sarajevo non sono ottimali né i convogli frequentissimi e si rischia di perdere una giornata intera (nella cittadina di Višegrad sostanzialmente non c’è altro da fare ed il ponte lo si vede in mezzora). Inoltre in loco non è troppo facile trovare qualcuno che parla una lingua “conosciuta”. Ma, nonostante tutto questo sbattimento, vi consiglio di andarci: è un luogo simbolo della Bosnia, un luogo che rappresenta la speranza del ricongiungimento, in una terra dilaniata da scontri etnici e religiosi. E se avete letto il libro di Andrić, sono sicura di avervi già convinto 🙂
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A Visegrad oltre al bellissimo ponte e alla storia magistralmente narrata da Andrc e legata al grande scrittore jugoslavo (non "serbo" come oggi i nazionalisti autori dei massacri degli anno '90 vorrebbero far credere) c'è tanto da vedere per un visitatore attento.
1. Proprio alla sinistra dell'entrata del ponte il piccolo monumento a Ivo Andric
2. il piccolo parco a destra dell'accesso al ponte dove era posta una piccola moschea ovviamente cancellata dai paramilitari serbi
3. la Pionyrska Ulica (via dei Pionieri) dove si trova la casa, sede dell'Associazione Donne vittime di violenza guidata dalla coraggiosa Bakira Hasecic, la madame Whisental dei Balcani, che lotta per assicurare alla giustizia i criminali nazionalisti serbi ancora impuniti e tutt'ora esuli protetti in Francia e Russia. La casa è ricostruita sulla cantina dove all'inizio della guerra del 1992 sono state bruciate vive dai fratelli Lukic, ora in carcere per crimini commessi, e dalle loro squadracce paramilitari più di 55 persone, tra le quali una bimba di due giorni nota col nome di "bezimena" in croato "senza nome".
4. nel cimitero ortodosso il monumento dei 49 "eroi" militari russi gloriosamente caduti mentre aiutavano i loro "fratelli assassini a macellai serbi a massacrare migliaia di persone delle locali popolazioni musulmane, donne e bambini compresi, molti dei quali gettati ancora vivi dal ponte, al punto che i guardiani della diga a valle del lago Perukac inviarono la richiesta di "non buttare più cadaveri nella Drina perché stavano intasando le turbine della centrale elettrica.
5. La fasulla pseudo-città, meglio outlet kitsch pomposamente denominato Andricgrad, costruita dal regista Emir Kusturica con l'appoggio del presidente della Repubblica Serba Milorad Dodic, per cancellare l'unico elemento di vera memoria dei serbi della cittadina costituito dal genocidio da loro compiuto nella guerra 92-94, mediante una fasulla mistificazione basata sull'appropriazione ideologica indebita della figura di Andric nato in Bosnia vicino a Sarajevo e vissuto a Visegrad presso la zia solo per pochi anni, architettata insieme agli strateghi serbi e dall'ex musulmano ora naturalizzato serbo per evidente interesse di regime Emir Kusturica, narcisisticamente rinominatosi Nemanja.